Il merlo by Gianni Simoni

Il merlo by Gianni Simoni

autore:Gianni Simoni [Simoni, Gianni]
La lingua: ita
Format: epub
editore: TEA
pubblicato: 2020-10-05T22:00:00+00:00


Capitolo 14

Ho passato il pomeriggio sonnecchiando in poltrona. Sono molto stanco, ma sapevo che sarebbe stato inutile andarmene a letto. Ancora troppa adrenalina.

Verso le cinque scendo un momento in ufficio.

«Pensavo che fosse ancora in tribunale», dice Antonia.

«No, riprendiamo domani e la discussione è stata fissata per lunedì pomeriggio.»

Si aspetta che io le racconti com’è andata e l’accontento. Ho capito che il Mussi è diventato un suo protetto.

Prendo dalla borsa la toga e faccio per appenderla all’attaccapanni.

«Questa non è una toga!» esclama Antonia. «È uno straccio. Si è accorto che un cordone si è completamente sfilacciato e sta per staccarsi? E gli orli delle maniche?»

Non so che dire.

Antonia sospira. «Ci penso io e le do anche una stirata... Certo che se poi lei la rificca nella borsa come se fosse...»

«E cosa vuole che faccia? Che me ne vada in tribunale portandomela su un braccio?»

«Almeno piegarla con un po’ di garbo! Comunque, hanno telefonato i De Giuli. Lui è fuori e volevano sapere quando potevano passare in studio.»

«Risponda che in questi giorni sono impegnato per un processo dalla mattina alla sera. Se ne riparla più avanti.»

Salgo di nuovo in casa. Non è ancora completamente buio e la stanchezza mi è passata.

Mi pare di vedere il merlo su un ramo basso dell’albero, ma potrei sbagliarmi.

Accendo il televisore. Dopo un po’ sento un vuoto allo stomaco. È da stamattina che non mando giù niente.

Mi faccio un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e ci bevo sopra mezza bottiglia.

Quando sono quasi le nove provo a chiamare Laura. Il numero è occupato. Ci riprovo dopo cinque minuti: ancora occupato. Rinuncio. La vedrò domani al bar.

Ho bisogno di dormire e ingoio un paio di sedativi.

In bagno, mi guardo allo specchio.

Mi sembra di avere il viso più incavato del solito e ho gli occhi pesti, con due borse scure, che osservo con disgusto.

Al bar la incontro di corsa.

«Ti ho chiamato ieri sera, ma era sempre occupato. A chi telefonavi?»

«A te», rispondo.

Mi guarda con aria poco convinta. «Me la racconti giusta? E che fai con quella borsa?»

«Devo correre in tribunale, ho udienza tutto il giorno. Devo scappare via subito.»

«Posso accompagnarti fino in piazza Fontana?»

Ci arriviamo in dieci minuti.

«Ciao, Laura.»

«Ciao, amore mio.»

Inizia il Pubblico Ministero con la Bissolati.

«Fu lei ad accompagnare al Pronto soccorso la Rizzi, il mattino del 13 aprile?»

«Sì, con la mia macchina.»

«Vide la ferita che aveva in faccia la Rizzi?»

«Ricordo solo che aveva un occhio nero e anche qualcosa sulla fronte.»

«Parlo della ferita che aveva allo zigomo. La vide o no?»

«No, la ferita non l’ho vista. Si teneva in faccia un fazzoletto. Se lo premeva contro.»

«Lei l’accompagnò quindi al Pronto soccorso. La lasciò lì o rimase ad aspettarla?»

«Naturale che l’aspettai, poveretta. La fecero entrare subito e uscì quasi dopo un’ora. Io stavo nell’atrio, dove fanno stare i parenti.»

«Ho capito. La Rizzi le spiegò come si era ferita?»

«Certo. Mi disse che il marito l’aveva pestata, perché lei non voleva starci e lui era ubriaco.»

«Lei sa se episodi del genere erano accaduti anche in precedenza?»

«Sì, me ne ha parlato.



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